sabato 8 gennaio 2011

La realtà psichiatrica è usurante per chi ci lavora

Dopo alcune vicissitudini personali, torno finalmente ad occuparmi di infermieristica legale. 
Una sentenza, emessa nelle scorse settimane dalla Corte d'Appello di Trento, confermando quanto stabilito nella sentenza del luglio 2009 emessa dal Tribunale dello stesso capoluogo, ha introdotto l'importante e quasi inedito riconoscimento della rilevanza dello stress lavorativo fisico e psichico come fattore causale nell'insorgere o nel pieno manifestarsi di patologie cardiovascolari. Per effetto della pronuncia, infatti, l'Inail è stata condannata al riconoscimento di un danno biologico di natura professionale ed al relativo risarcimento nei confronti di un lavoratore, dipendente di una cooperativa, operante in qualità di educatore, dal 1996 al 2001, nell'ambito di una struttura residenziale di Trento per utenza psichiatrica. Il lavoratore in questione era risultato, durante questo periodo, oggetto di più eventi infartuali. Nello specifico, i giudici hanno stabilito che il secondo evento, in particolare, era sicuramente da porsi in correlazione con lo stress psico-fisico dovuto all'attività lavorativa svolta. Nella motivazione della sentenza è stato ben evidenziato come l'incarico ricoperto dall'appellante comporti "grave impegno e notevole autocontrollo nel gestire le situazioni emergenziali", "condizioni d'impegno fisico e psicologico notevoli, stante la tipologia dell'utenza caratterizzata da gravi disturbi psichiatrici cronici", ed ha infine sottolineato come sia "causa di stress immanente il rischio d'essere oggetto d'aggressioni violente da parte dell'utenza". Già nella sentenza di primo grado si sosteneva l'esistenza di un "nesso concausale tra l'attività lavorativa svolta dal concorrente e la patologia denunciata". Quanto sancito in primo e secondo grado dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Trento, rispettivamente, è un principio che va ben oltre l'ambito specifico relativo alla vicenda in questione: è superfluo osservare, infatti, che le motivazioni della sentenza sono applicabili, per analogia, in toto alla figura professionale dell'infermiere, perlomeno – ad oggi - limitatamente a coloro i quali assistono l'utenza psichiatrica. 

venerdì 24 dicembre 2010

Come conciliare l'accoglienza e la privacy in reparto - II ed ultima parte - l'accoglienza dei visitatori


Concludiamo la trattazione relativa all'applicazione della privacy in una Unità operativa; questa volta mi occuperò di come accogliere i visitatori nel rispetto della normativa vigente.
Non bisogna infatti dimenticare che, nella maggior parte dei casi, il paziente affronta un momento così angoscioso e delicato come quello del ricovero affidandosi alla compagnia ed al sostegno di familiari, conoscenti ed assistenti a vario titolo, che lo supportano standogli accanto durante visite ed esami, oppure richiedendo informazioni agli operatori.
Una struttura ospedaliera deve dunque essere progettata ed organizzata anche per venire incontro alle esigenze di questi soggetti e per facilitarli nelle loro funzioni di supporto: se, ad esempio, la stanza di accoglienza risulta chiaramente evidenziata da una apposita segnaletica, sarà agevole per la persona che assiste il malato individuarla, anche se quest'ultimo vi è impossibilitato da una qualsivoglia disabilità. Analizziamo i chiarimenti in materia forniti dal Garante per la privacy con il provvedimento del 9 novembre 2005.
1. Il rispetto degli orari di visita.
Relativamente all'accoglienza dei visitatori nell'unità operativa (intendendo con tale espressione esaustiva tutti i soggetti che accedono al reparto, non essendone né operatori né pazienti) si pone da sempre la questione del rispetto degli orari di visita, ribadito anche dalla “Carta della qualità in chirurgia” all'art. 4; è necessario il rispetto di tali orari, ma la disposizione può (e viene già) osservata in modo elastico nei reparti in cui il malato necessita di un supporto psicologico più intenso e costante, come in quelli chirurgici o pediatrici.
2. Comunicazione a terzi di informazioni relative a prestazioni di pronto soccorso per via telefonica.
Nel rapporto con familiari, conoscenti ed assistenti la problematica di più difficile risoluzione consiste però, ancora una volta, nella conciliazione tra l'esigenza di tutelare la riservatezza del paziente ed il bisogno di fornire risposte a soggetti che, anche se non legittimati sul piano giuridico, sono tuttavia a lui legati da rapporti professionali ed affettivi e, in quest'ultimo caso, condividono pienamente l'angoscia e la sofferenza dell'ammalato.
L'esempio classico è quello relativo alla richiesta, per via telefonica, di una prestazione di pronto soccorso: con il provvedimento del novembre 2005 il Garante ha risposto positivamente a tale annoso quesito, stabilendo però che, in tale contesto, le informazioni possono essere fornite correttamente ai soli terzi legittimati, quali possono essere familiari, parenti o conviventi, valutando le diverse circostanze del caso. Il contenuto di questo genere di notizie deve inoltre consistere solo nel fatto che è in atto o si è svolta una prestazione di pronto soccorso, mentre non possono essere comunicate indicazioni più dettagliate sullo stato di salute. L'interessato (se cosciente e capace) deve essere preventivamente informato dall'organismo sanitario (in fase di accettazione) e posto in condizione di fornire i nominativi dei soggetti cui può essere comunicata la prestazione di pronto soccorso. Occorre, altresì, rispettare eventuali sue indicazioni contrarie. Il personale incaricato deve infine accertare l'identità dei terzi legittimati a ricevere la predetta notizia o conferma, avvalendosi anche delle indicazioni fornite dall'interessato.
3. Informazioni rese per via telefonica od al visitatore circa la presenza di un paziente in reparto.
Un'altra ipotesi frequentemente ricorrente nella realtà operativa riguarda la richiesta, per via telefonica o, più frequentemente, da parte di un visitatore, circa la presenza di un paziente in reparto. Secondo l'Autorità, il Codice per la tutela dei dati personali incentiva le strutture sanitarie a prevedere, in conformità agli ordinamenti interni, le modalità per fornire informazioni ai terzi (legittimati) circa la dislocazione dei degenti nei reparti, allorché si debba rispondere a richieste di familiari, parenti e conoscenti. Indicazioni positive, a tal proposito, erano già state fornite dal Garante alcuni anni addietro: (cfr. il parere reso il 26 gennaio 1999).
Negare ogni informazione sulla presenza dei degenti nei reparti ospedalieri, d'altronde, contrasterebbe con la natura del servizio pubblico sanitario, che di norma prevede, entro determinati orari e con precise modalità, la possibilità di parenti, conoscenti e perfino di organismi del volontariato di accedere ai reparti per far visita ed aiutare i degenti. Le uniche eccezioni ammissibili si hanno quando:
  • dalle caratteristiche dell'unità operativa si può risalire agevolmente alla patologia sofferta (basti pensare all'ipotesi del paziente ricoverato in un reparto di psichiatria);
  • quando il degente chiede che la sua presenza non venga resa nota. L'interessato, sempre se cosciente e capace, deve essere, anche in questo caso, informato e posto in condizione (per esempio all'atto del ricovero) di fornire indicazioni circa i soggetti che possono venire a conoscenza del ricovero medesimo e del reparto. Occorre altresì rispettare l'eventuale richiesta che la sua presenza nella struttura sanitaria non sia resa nota a nessuno.
Come per le prestazioni di pronto soccorso, anche in tale ipotesi è lecito comunicare la sola presenza nel reparto, ma non informazioni sullo stato di salute. Queste ultime possono essere invece fornite a soggetti terzi quando sia stato manifestato dall'interessato un consenso specifico e distinto al riguardo, consenso che può essere anche espresso da un altro soggetto legittimato, quando l'interessato si trova in condizioni di impossibilità fisica, incapacità di agire o incapacità di intendere e di volere.
Allorchè il consenso sia stato modulato o negato, l'infermiere, cui sono richieste indicazioni dal visitatore, dovrà, in primo luogo, premurarsi di accertare l'identità del visitatore medesimo (per verificare se rientra tra i soggetti cui possono essere comunicate informazioni); non potendo, in ogni caso, essere impedito l'accesso in corsia e nelle varie stanze di degenza, per evitare che si verifichino situazioni imbarazzanti o spiacevoli sarebbe opportuno che ogni unità operativa limitasse ad un apposito ambiente (salottino) le visite di familiari e conoscenti.
Non sempre, tuttavia, specialmente in un reparto chirurgico, i pazienti sono in grado di deambulare: in tal caso, per salvaguardare la riservatezza possono essere adottati paraventi, oppure può essere chiusa la porta della stanza (sempre che non siano presenti altri degenti).
E' evidente, comunque, che né gli uni né l'altra costituiscono barriere fisiche insormontabili: la corretta applicazione della normativa, pertanto, dipende, in larga parte, dal buon senso e dalla professionalità di tutto il personale di reparto.
4. Consegna a terzi di documentazioni idonee a rivelare lo stato di salute di un paziente.
Il personale designato deve essere istruito debitamente anche in ordine alle modalità di consegna a terzi dei documenti contenenti dati idonei a rivelare lo stato di salute dell'interessato, come i referti diagnostici, di regola ritirati dopo le dimissioni. Rispondendo espressamente alle numerose segnalazioni pervenute, il Garante ha precisato, a tal proposito, che esse possono essere ritirate anche da persone diverse dai diretti interessati, purché sulla base di una delega scritta e mediante la consegna dei referti suddetti in busta chiusa.

lunedì 20 dicembre 2010

Ehi, blogger, che intenzioni hai???

SteacieLibrary
Chiunque voglia fare informazione ha bisogno di fonti. Anch'io navigo da mesi alla ricerca di siti o di documenti che approfondiscano aspetti specifici della normativa in materia di assistenza infermieristica. Mi sono però dovuto scontrare con due ostacoli: il primo è la totale sciatteria con cui vengono gestiti molti blog e siti, spesso aggiornati a distanza di mesi, se non di anni, oppure definitivamente abbandonati (eppure le spese per il mantenimento del dominio vanno rinnovate annualmente!). Si salvano solo le sezioni sul diritto sanitario contenute nei più famosi portali dedicati all'assistenza infermieristica.
Cito, a questo proposito:
L'altro scoglio è l'estrema difficoltà nel reperire materiale gratuito. In primo luogo trovo incostituzionale che le sentenze, emesse “in nome del popolo italiano”, siano consultabili dall'utente comune solo previo pagamento di una somma, spesso non così modica (168 Euro è il versamento minimo da effettuare per accedere, ad esempio, alla banca dati delle sentenze emesse dalla Suprema Corte di Cassazione, vale a dire ItalgiureWeb, su http://www.italgiure.giustizia.it/). Né comprendo la ragione per cui vecchi numeri di riviste del settore non debbano essere digitalizzate e fornite gratuitamente. Perché dovrebbero rimanere a prendere polvere nelle biblioteche? Perché uno studente dovrebbe spendere i soldi necessari anche solo a fotocopiare un articolo di suo interesse, quando potrebbe scaricarne senza aggravi di spesa la versione online?? 
Una valida eccezione è rappresentata dalla rivista "Infermiere oggi", scaricabile dal sito del Collegio Ipasvi di Roma, su www.ipasvi.roma.it . 
Non comprendo se questa frammentarietà di fonti discenda da precisi disegni politici o dal disinteresse degli operatori sanitari; quel che è certo è che ogni ricercatore che intenda occuparsi delle implicazioni giuridiche dell'assistenza infermieristica reperisce le informazioni necessarie a sviluppare il proprio lavoro solo in modo frammentario e con grandi sforzi.
E' per questo motivo che non ho mai desistito dal proposito di mettere a disposizione di chiunque più contenuti possibile sull'argomento trattato in questo blog, sfruttando tutte le mie competenze in materia (vedete pure il mio profilo) e le risorse che ho a disposizione. Non tollero che la cultura, nel mondo di Internet che è ben più libertario di quello normale, rimanga un privilegio ad esclusivo appannaggio di soggetti paganti: deve essere un bene comune.
Sotto questo aspetto, chiamatemi pure "comunista".
Con questo post non intendo pavoneggiarmi: non sono il più esperto in materia ed il mio blog potrebbe interessare a pochi. Nonostante ciò continuerò a profondere il massimo sforzo per perfezionarlo e mantenerlo aggiornato.
Almeno per il mio piacere personale.
Apprezzerò comunque il contributo di quanti, mettendo a disposizione le loro risorse e la loro esperienza, vorranno collaborare con me.

sabato 18 dicembre 2010

Decalogo su come riconoscere e denunciare i segni distintivi di abuso su ospiti di strutture residenziali (e non solo)





La cronaca ci pone spesso di fronte alla realtà di soggetti deboli, come gli anziani od i pazienti psichiatrici, costretti a vivere in strutture fatiscenti, veri e propri lager, e sottoposti a continui maltrattamenti da parte del personale addetto all'assistenza. Negli ultimi tempi il fenomeno ha conosciuto un'ulteriore evoluzione, coinvolgendo alcune badanti, inchiodate da telecamere nascoste mentre si rendevano colpevoli delle peggiori nefandezze verso povere anziane impotenti. Il fenomeno, comunque, presenta un'estensione mondiale ed in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, da tempo vi sono “law firm” (studi legali) con avvocati specializzati nell'assistenza legale in questi casi (medical and nursing malpractice lawyers). Navigando per caso proprio su uno di questi siti (Mininno law office, su www.minfirm.com) ho letto un interessante articolo su come individuare, riconoscere e segnalare i segni indicatori di un potenziale abuso su queste persone (che preferisco chiamare “ospiti”, non essendo sempre affette da particolari patologie). E' destinato principalmente ai familiari di tali soggetti, ma non solo. L'ho tradotto ed integrato, trasformando i 9 punti originari in un decalogo.
Eccolo:
  1. Lesioni da pressione (o da decubito): costituiscono un sicuro segno di trascuratezza. Le lesioni da pressione si formano per effetto della prolungata compressione di tessuti cutanei e sottocutanei tra una prominenza ossea ed una superficie esterna. La cattiva mobilizzazione di pazienti allettati o seduti sulla sedia a rotelle (su cui è sufficiente un'ora per generare lesioni da pressione!) può generare ulcerazioni, più frequenti nei pazienti anziani per effetto della ridotta vascolarizzazione e dunque ossigenazione tissutale. 
  2. Inspiegabili contusioni, bruciature, tagli, distorsioni o fratture: lesioni misteriose come queste possono essere attribuite alla disattenzione, se non a crudeli maltrattamenti nei confronti di ospiti deboli e fragili. 
  3. Cadute in bagno, dal letto o dalla sedia a rotelle, che esitano in lesioni: sono un segno che i pazienti sono abbandonati a se stessi nell'esecuzione di attività, come muoversi dal letto fino al bagno, che possono risultare difficoltose e per le quali necessitano di attenta sorveglianza ed aiuto nell'esecuzione, potendo, in caso contrario, subire facilmente lesioni. 
  4. Disidratazione, malnutrizione o perdita di peso: non sono solo diretta conseguenza di abusi e trascuratezza; questi ultimi a loro volta, possono condurre l'ospite alla depressione, la quale può causare malnutrizione e perdita di peso. 
  5. Elevata rotazione (o numerosi cambiamenti) del personale: aumenta la probabilità che la qualità dell'assistenza sia bassa. Può rappresentare anche un indicatore del fatto che il personale della struttura è sottopagato o sottodimensionato e sottoposto ad eccessivi carichi di lavoro, il che non riduce solo la qualità delle prestazioni erogate, ma incrementa sensibilmente la probabilità di commettere un errore durante le procedure assistenziali. 
  6. Inspiegabili patologie veneree o infezioni genitali, lesioni od emorragie, anali o vaginali, vestiti strappati o macchiati di sangue: si tratta di una realtà purtroppo presente nelle strutture che dovrebbero invece accogliere, assistere e proteggere le persone più deboli. Se vengono rilevati questi segni, occorre denunciare immediatamente l'accaduto all'Autorità giudiziaria, al fine di consentire l'apertura di un'indagine penale. 
  7. Cessione di proprietà, oppure improvvisi cambiamenti nelle volontà testamentarie, nei conti correnti bancari od in altri titoli finanziari, scomparsa di effetti personali di valore: il furto e la frode (talora, si può tecnicamente parlare di circonvenzione di incapace, art. 643 C.P.) sono fenomeni reali e frequenti di abuso compiuto da operatori assistenziali. 
  8. Rifiuto o ritardo nel concedere i permessi di visita, opposti dal personale: Se il personale assistenziale è colpevole di abusi o negligenze, non permetterà facilmente di recarsi a visitare il proprio caro. Spesso, se permettono la visita, rifiutano di lasciare l'ospite solo con i propri parenti, in modo che si senta a disagio e non riesca a trovare la possibilità di confidarsi. 
  9. Ipersedazione o eccessivo uso di mezzi di contenzione: può accadere che l'operatore addetto all'assistenza, principalmente l'infermiere in questo caso, ma anche un operatore socio – sanitario o perfino una badante, possa somministrare farmaci ansiolitici o sedativi non prescritti, oppure aumentarne il dosaggio, per calmare pazienti “oppositivi ed aggressivi”, principalmente malati di Alzheimer o psichiatrici. Si tratta di una pratica che può causare effetti collaterali gravissimi, sino al decesso, a causa dei molteplici effetti collaterali di questi farmaci. L'uso dei mezzi di contenzione deve costituire una misura finalizzata a proteggere l'ospite "aggressivo" da atti lesivi nei confronti propri e del personale; non deve essere dunque concepito come una manovra punitiva.
  10. Sporcizia: trovare un proprio caro, ospite in una struttura, sporco e trasandato è il primo indice di trascuratezza da parte degli operatori. Spesso l'esecuzione dell'igiene è limitata all'area perineale: si consiglia, pertanto, di visionare attentamente altre parti del corpo, come l'area sottomammaria, i piedi, i capelli (anche per l'eventuale presenza di pediculosi) per verificare se l'ospite viene lavato accuratamente. 

In conclusione, difficilmente la piaga degli abusi su questi pazienti verrà debellata. Ritengo anzi che aumenterà con l'incrementare della popolazione anziana. Prestate attenzione ai vostri cari e curatevi di loro, anche quando non vivono più con voi.

mercoledì 15 dicembre 2010

Qualificazione giuridica delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana

RedCrossNursen
Mentre seguivo l'inchiesta di “Report” del 5 dicembre, dedicata ai (purtroppo numerosi) lati oscuri della gestione della Croce Rossa Italiana, mi sono domandato quale sia, esattamente, l'inquadramento giuridico delle infermiere volontarie (c.d. “crocerossine”) e se la loro qualifica debba considerarsi parificata a quella degli infermieri che hanno conseguito il titolo a seguito degli studi universitari (o regionali, per gli infermieri “di vecchia data”).
Sulla questione il legislatore è intervenuto solo di recente, attraverso l'art. 3, comma 10 della L.108/2009. Il disposto di legge presenta tuttavia una formulazione contraddittoria, che non inquadra in maniera precisa e sistematica la figura dell'infermiera volontaria, né la rapporta correttamente a quella dell'infermiere qualificato come tale per effetto del conseguimento del diploma di laurea. Lecito, quindi attendersi accese controversie che si protrarranno nel tempo. Esaminiamo il comma in dettaglio. Nella sua prima parte, il legislatore equipara senza troppi giri di parole il diploma di infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana all'attestato di qualifica di operatore socio-sanitario specializzato (OSSS). Successivamente, però, afferma che, “esclusivamente nell’ambito dei servizi resi, nell’assolvimento dei compiti propri, per le Forze armate e la Croce Rossa Italiana” le Infermiere volontarie della CRI sono abilitate “a prestare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con le funzioni e attività proprie della professione infermieristica”.
2june 2007 483
Il riferimento all'emergenza non è casuale, poiché la norma in questione è inserita nell’ambito di legge di proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali, contesto nel quale si è dimostrata la necessarietà e l’urgenza dell’intervento di personale specializzato nell'espletamento di funzioni assistenziali. Ci si domanda, tuttavia, la ragione per cui, anziché prevedere modalità diverse e magari innovative di inserimento nei ruoli delle Forze armate di personale infermieristico formato attraverso gli studi universitari, si sia creata l'aberrazione giuridica, tutta italiana, di operatori socio – sanitari che prestano assistenza infermieristica, senza averne tuttavia la necessaria competenza (il corso per infermiere volontarie dura 2 anni anziché 3 come il corso di laurea e le ore di tirocinio sono assai inferiori) e neppure la preparazione specifica in contesti di emergenza – urgenza o nell'assistenza in scenari di guerra. Ripensando alle non solidissime finanze patrie, sorgono subito alla mente considerazioni maliziose sui risparmi che può generare l'impiego di volontari, che per giunta da oltre un secolo affiancano le Forze armate, rispetto all'inserimento di nuove truppe.
Occorre però sottolineare che la norma, benché inserita nel contesto nelle missioni internazionali, non circoscrive le funzioni e le attività proprie dell'assistenza infermieristica all'esclusivo contesto bellico; dall'analisi del dettato emerge che le crocerossine possono ricoprire funzioni assistenziali proprie dell'infermiere anche in tempo di pace e sul suolo nazionale; l'importante è che agiscano sotto le insegne della Croce Rossa.
Fermo restando, dunque, che le infermiere volontarie della CRI, nonostante la denominazione, non possono essere qualificate a tutto tondo come infermiere, poiché non possono iscriversi all'Albo, né possono partecipare a concorsi pubblici accanto a coloro che hanno conseguito il diploma di laurea, permane quest'anomalia che contrasta apertamente con altre leggi dell'ordinamento italiano (mi riferisco in particolare alla L. 43/2006, che stabilisce che la professione infermieristica è soggetta al conseguimento del titolo universitario, abilitante, ed il suo esercizio richiede l'iscrizione all'Albo, che è obbligatoria). Auspico perciò la pronta risoluzione della controversia, nella prospettiva disegnata dalle tante norme che hanno sancito l'evoluzione della figura dell'infermiere, laureato (o diplomato) ed iscritto all'Albo, come UNICO responsabile dell'assistenza infermieristica, (cfr. anche il D.M. 739/94).
Mi domando, comunque, come avrebbe reagito, ad esempio, la classe medica, se fosse stato consentito a volontari, senza laurea in Medicina, di svolgere assistenza sanitaria “con le funzioni e le attività proprie della professione medica”....